La fast fashion diventa un po’ più sostenibile?
Parlare di ecodesign e di moda nella stessa frase è spesso difficile, tra accuse di greenwashing ai maggiori brand e l’effettivo impatto ambientale del fashion, più che mai allarmante, ma qualcosa sta forse finalmente cambiando.

La cosiddetta fast fashion può sembrare il concetto più lontano in assoluto da quello di ecodesign, ovvero di progettazione di prodotti e di sistemi (economici e sociali) che rispettino maggiormente l’ambiente.
La fast fashion, la moda passeggera, fatta di trend che durano poco e di prodotti che consumano molto, ma avranno una vita breve, è nel centro del mirino e molti noti brand, se parlano di ambiente e sostenibilità vengono accusati di farlo solo per ripulire la propria immagine, ma qualcosa forse sta per cambiare.
Soprattutto le nuove generazioni, sposano un atteggiamento e uno stile di consumo sempre più green e non possono quindi non riflettere sull’impatto dell’industria tessile sul pianeta.
Fortunatamente, in atto c’è una piccola rivoluzione, grazie a noti brand come Zara o H&M che, un po’ proprio per strizzare l’occhio alla loro clientela presente e futura e un po’ per una reale sensibilità, stanno avviando strategie di circolarità e sostenibilità, nel complesso decisamente apprezzabili.
La fast fashion cerca di rallentare

Nel novembre 2022 la multinazionale spagnola ha lanciato un progetto chiamato “Pre-Owned”, che ha lo scopo di supportare i clienti nel riparare, rivendere o riciclare i propri abiti e accessori.
Questo consente come ovvio di allungare la vita dei capi e/o delle materie prime di cui sono composti, con ricadute positive, non solo sul piano economico, ma anche su quello ambientale.
Oltre al servizio di riparazione di Zara, direttamente dei punti vendita, il programma prevede una piattaforma dedicata per la rivendita dell’usato.
C’è poi, fin dal 2015, la possibilità di richiedere in diversi paesi nel mondo il ritiro a domicilio di capi da donare, ad esempio alla Croce Rossa.
Anche le iniziative di H&M sono interessanti in un’ottica di sostenibilità, promossa con crescente decisione dal noto brand svedese. Il progetto di punta in questo caso si chiama “Take care” e si concentra sulla responsabilità degli stessi clienti.
Non solo infatti la moda inquina e spreca durante le fasi di produzione e commercializzazione, ma anche una volta acquistati, l’impatto ambientale dei capi non finisce e si stima che per il 10% dipenda quindi proprio da chi li compra.
Sul sito del brand è stato quindi predisposto un vero e proprio manuale che spiega ai clienti come prendersi cura del proprio guardaroba per farlo durare più a lungo.
Ci sono ad esempio consigli, semplici, ma preziosi sulla giusta frequenza e modalità con cui lavare i vari capi, con relativo effetto sul clima. Ad esempio, banalmente, sarà molto meglio usare la lavatrice un po’ meno spesso, ma solo a pieno carico.
Queste iniziative vanno in una direzione ben precisa che poi è quella richiesta dal mercato e sarà sempre più così, con i consumatori di domani che con ogni probabilità saranno sempre più esigenti anche sul fronte della sostenibilità ambientale.
La moda impatta ancora molto, ma ogni segnale di un cambio di rotta è positivo. Non bisogna però assolutamente abbassare la guardia, i margini di miglioramento sono enormi.